“But what do you believe? I don’t just mean religion. What are you sure of?”
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Già fui affascinato dal film tratto da questo libro, ma ancor di più dalla varietà di giudizi a commento della versione cartacea della vicenda dello storico Theo e della banda dei cinque Pesci, in un mondo in cui l’umanità era condannata all’estinzione dalla sterilità e, a favor di metafora, dalla propria incapacità di guardare al futuro. C’era chi lo trovava un capolavoro, chi una boiata pazzesca, chi profondo, chi assolutamente superficiale, chi lento narrativamente chi entusiasmante. Dove stava la [mia] verità? Per questo cominciai a leggere anche il romanzo della giallista P. D. James. Riuscendo alla fine a farmi un parere tutto mio. Che non vi dirò. Che le stelle mi siano da testimoni!
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Le recensioni de il Vignettificio
I FIGLI DEGLI UOMINI
BANANE
“Cos’è la destra lo stiamo toccando con mano. Il resto, per esclusione, dovrebbe essere la sinistra.”
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Le vignette del solito immenso Altan pubblicate in quella che purtroppo è la solita banale raccolta di vignette di un autore satirico senza contestualizzazione temporale né introduzione né apparato critico. Vignette in generale di periodo e origine sconosciuta, a parte un folto gruppo di disegni che sono riuscito ad identificare, pubblicati per la prima volta sulle pagine dell’ “Espresso” nel periodo 2000-2003.
Unico valore aggiunto di questo libro resta la suddivisione di tutto il materiale in nove grandi capitoli (“Il mondo è là fuori”, “Quel che è, è”, “Undici settembre e seguenti”, “Exit plof”, “Banana uber alles”, “Il Cavalier Silvio Banana”, “Resistere”, “La quotazione delle banane”, “Banane di base”) che ci anticipano che l’oggetto della denuncia narrata in queste pagine ha a che fare con lo stato di decadenza in cui l’Italia è stata condotta negli ultimi anni dal governo nazifarsista dell’ombrelluto Cavalier Silvio Banana.
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QUATTRO DITA (L’UOMO DI CARTA)
Un Manara che per una volta distoglie lo sguardo dall’erotismo esplicito del corpo femminile, per renderci partecipi dell’erotismo implicito di un paesaggio selvaggio.
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Esiste un boschetto della fantasia in ciascuno di noi, che qui diventa una prateria, riversata con carta e penna in fumetto dall’arte di Milo Manara, un west che non è solo un west geografico, ma anche un west dell’anima e un west della società, con questi indiani molto simili alla natura ribelle degli indiani metropolitani di fine anni ’70 e le truppe della cavalleria allegoria equestre dei celerini che presidiavano le piazze della protesta.
Storia pubblicata a puntate in Italia per la prima volta sulla rivista Pilot a partire dal primo numero del dicembre del 1981, e ristampata più volte nel corso degli anni, primo capitolo di una saga che si è fermata a questo primo capitolo, fumetto di un Manara che per una volta distoglie lo sguardo dall’erotismo esplicito del corpo femminile, per renderci partecipi dell’erotismo implicito di un paesaggio selvaggio.
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TANGO
Un dream team a raccolta per raccontare le convulsioni di un partito comunista non più capace di sognare.
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Raccolta dei primi dieci numeri di Tango, inserto satirico settimanale dell’Unità dal 1986 al 1988, foglio che sotto la regia di Staino raccolse un vero e proprio dream team di talenti vignettistici dell’epoca: l’irriverente Vincino, la già formidabile ElleKappa, il giocoso Angese, il consistente Giuliano, uno statuario Altan, uno stralunato Pazienza e molti altri, il tutto accompagnato dai commenti, satirici e no, di autori come David Riondino, Michele Serra, Francesco Guccini e Gino e Michele.
Punto di passaggio tra la precedente satira anarcoide del “Male”, dal quale comunque eredita molte firme, e la nuova satira “di sinistra”, portata avanti negli anni novanta da altre riviste altrettanto importanti come “Cuore” e, in televisione, dalla banda di Serena Dandini.
Una satira interna al partito comunista rivolta in gran parte al partito, molto fantasiosa e ricca artisticamente, forse un poco all’acqua di rose, innocua per qualsiasi blocco di potere solido come un ceppo d’ebano, quando basta invece a dare una mano a far sgretolare quell’edificio di pasta frolla che era diventanto il PCI di fine anni ottanta, alla vigilia di quel lungo travaglio che porterà al dissolvimento del vecchio partito e alla nascita del PDS.
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KARAOKETTO
Uno sguardo dapprima sofisticatamente erotico, poi sciattamente pornografico, sulle seghe mentali dei comunisti nel periodo 1973-1994.
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Raccolta di duecentodieci vignette apparse su “La Repubblica”, “La Stampa”, “Panorama”, “L’Espresso”, nel periodo che va dal 1973 al 1994, dai primi accenni di quello che sarà il compromesso storico allo scioglimento della camera che porterà all’ascesa al potere di Silvio Berlusconi, in un’Italia ancora scossa da tangentopoli, che votò il vecchio che avanzava convinta di aver dato fiducia al nuovo che avanza (ma tutto questo Forattini non lo sa…).
Volume che è un diario impietoso e spietato delle convulsione dei comunisti italiani di quel periodo, con tutte le loro seghe mentali, dapprima illustrate con sofisticato sguardo erotico, infine con banale sguardo pornografico, coerentemente con quella sciatteria artistica che andrà a caratterizzare Forattini dagli anni novanta in poi.
Da segnalare, invece, la grande forza espressiva delle vignette degli anni ottanta, molto spesso in grado di fare a meno della componente testuale, lasciando la spada dello sberleffo tutta in mano alla fantasia grafica del suo autore. Geniale, a mio giudizio, la vignetta a pagina 44, in cui il compromesso storico viene riassunto nell’immagine di una falce e martello trasformati in una grossa spilla da balia, con un Moro, con i muscoli tesi per lo sforzo, che cerca di mettere in sicurezza la punta dentro la sicura.
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GOMORRA
Un’analisi spietata dell’antropologia della sopraffazione.
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Un’analisi spietata dell’antropologia della sopraffazione, viaggio affascinato ma mai ammirato nel pianeta Camorra, descritto con partecipazione emotiva ma anche distacco razionale, a volte viceversa, ma mai insieme, molto simile allo stato d’animo di un esploratore occidentale che si ritrovasse a narrare degli usi e costumi di una tribù primitiva da lui scoperta negli anfratti della foresta amazzonica. Libro che diventa quindi ancora più inquietante pensando che si tratta di un pezzo d’Italia e dell’Italia di oggi.
Monumento alla genialità del metodo Saviano, un esempio su tutti, la parte che descrive i suoi sforzi per entrare in possesso del lettore MP3 con le canzoni ascoltate dai sicari del Sistema nel corso delle mattanze.
Un’opera immortale, che verrà ricordata negli anni e spero in futuro studiata nelle scuole, se esisteranno ancora, capace, partendo dalla contingenza del quotidiano, di descrivere le ombre più profonde che da sempre oscurano l’animo del genere umano, non un semplice racconto dei fatti e misfatti di un gruppo di criminali nell’Italia di oggi, così come i Promessi Sposi non sono una semplice narrazione delle complicazioni burocratiche di una coppia di padani dell’Italia del seicento.
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LA VALIGIA DEL CANTANTE
“Ho fatto scarpe per tutti, anche per te, e io vado ancora in giro scalzo…” (Bob Dylan)
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Comprato pensando fosse una biografia di Francesco De Gregori, letto per metà imprecando perché in realtà non si trattava di una biografia di Francesco De Gregori, pian piano mi è anche un po’ piaciuto giusto perché non si trattava della solita biografia di Francesco De Gregori: una perfetta esperienza della filosofia zen dell’arte di apprezzare la realtà per come viene.
Attraverso il cannovaccio di un’esposizione cronologica delle uscite discografiche, viene costruita una tassonomia delle categorie mentali del cantautore, individuando una tematica all’interno di una canzone, citando parti del brano e, in modo del tutto dialogico e atemporale, accompagnando ad esso dichiarazioni o interviste, sue o di suoi collaboratori, accostamenti che a volte non si capisce bene funzionali a che cosa, forse perché troppo sofisticati per essere capiti dai più, forse perché intrinsecamente poco azzecati. Ciascun lettore decida da solo in base alla propria sensibilità: a Francesco De Gregori piacerebbe così.
Molto interessante tutta la narrazione della contestazione subita nei concerti di inizio carriera dalla fauna di invasati che negli anni ’70 avevano scambiato il materialismo dialettico per il “Vangelo secondo Lenin”.
Nota curiosa, come ogni libro su Francesco De Gregori che si rispetti, le prime cinquanta pagine parlano quasi esclusivamente di Venditti.
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TRILOGIA NIKOPOL – VOL. 1
Per chi se lo fosse chiesto: sì, anche a me Choublanc è sembrato una satira di Silvio Berlusconi, scritta con vent’anni di anticipo!
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Forse l’unica recensione veritiera di un’opera come questa dovrebbe essere paginate e paginate di trascrizioni fonetiche di gemiti di piacere. Ma cerchiamo di metterla sul discorsivo. Pubblicata per la prima volta nel 1980, scritta-disegnata-colorata dal vate del fumetto francese Enki Bilal, questa storia fin dalle prime pagine ci sbatte in faccia un mondo coerentemente assurdo e assurdamente coerente, in una Parigi del futuro ridotta a città-stato, stretta nella morsa di una feroce dittatura fascista che non rinuncia ad indire elezioni, manipolando l’opinione pubblica pur di avere la certezza di uscire vittoriosa dalle urne. Ma i piani del satrapo Choublanc, un novello Mussolini neogollista, truccato come un clown(!), vengono guastati da alcune divinità egizie(!), che stazionano sopra la città in un’astronave a forma di piramide(!), e ingannano il tempo giocando a Monopoli(!) e guardando la TV(!), in attesa di ripartire dopo un rabbocco di benzina(!), preteso come dovuto senza dare nulla in cambio, un rabbocco però in grado di gettare sul lastrico l’economia del regime Choublanchista. A complicare le cose ci pensa un dissidente dio falco, Horus, in lite con gli altri immortali, che si impossessa del corpo di un, anche lui dissidente, umano, Nikopol, e lo manovra per portare a compimento la sua vendetta. Senza svelarvi il finale qui mi fermo, senza neanche aver avuto il tempo di accennare al ridicolo papa Théodule I, alle sanguisughe Zuben’ubiane che infestano la Torre Eiffel, alle uova giganti di Menkar, al fidato consigliere governativo Gogol, un gatto telepatico dal pelo bianco verde.
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PAGINE GIALLE
“Vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo.” Shakespeare, Giulio Cesare,III, II
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Libro della Biblioteca Umoristica Mondadori, pubblicato verso la fine del 1984 per raccogliere in ordine cronologico le vignette apparse sul quotidiano “La Stampa” dall’Agosto 1983 al Settembre 1984. Un tuffo senza filtri nel panorama polemico di quegli anni, senza distinzione alcuna tra avvenimenti che poi passeranno alla storia e cagnara giornaliera presto finita nella pattumeria della memoria. Per chi ama Forattini sia nei colpi di genio sia alle prese con l’ordinaria amministrazione. Per chi ama catapultarsi negli umori degli anni passati senza la grande mistificazione del senno di poi.
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ZANARDI E ALTRE STORIE
“Posso vivere senza di te, non c’è dubbio, amaramente e bene. Il grido non è questo. Il mio tormento è il ricordo”.
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Dal 1986 fino alla morte Pazienza collabora con la rivista Comic Art. In questo volume del 1995, numero 40 della collana Best Comics, ristampa del numero 20 della collana Grandi Eroi, del 1988, sono raccolte alcune storie di Zanardi frutto di questa collaborazione: “Zanna” (Comic Art n. 32, aprile 1987), “Zanardi at the war” (Comic Art n. 36, settembre 1987), “Prologo” (Comic Art n. 28, dicembre 1986), “Cuore di mamma” (Comic Art n. 28, dicembre 1986), “Cenerentola 1987” (Comic Art nn. 29/31, gennaio/marzo 1987).
Particolari le prime due storie, con un Zanardi lontano dal suo naturale habitat liceale bolognese, catapultato in nuovi contesti onirici o lontano nel tempo, secondo una tendenza in atto nel Pazienza dell’ultimo periodo, che si manifesterà anche nella bellissima storia incompiuta “Zanardi Medioevale”, ripubblicata in una differente sede. Più “classiche” le ultime due storie, dove la perfidia di Zanardi e dei suoi compari Colasanti e Petrilli si manifesta in tutta la sua grandezza.
Apre l’antologia comunque una storia che non vede Zanardi tra i suoi personaggi, la trasposizione in forma grafica del poema “Campofame” di Jeffers Robinson, suggestivo apologo di un uomo che affrontò a mani nude la morte e la sconfisse, ma poi ebbe modo di pentirsi del suo successo.
Da segnale anche la prefazione “Andrea Pazienza ovvero l’io diviso” di Giulio C. Cucciolini, un’analisi sincera e approfondita dell’arte e della psicologia di questo autore che tanto ha dato al fumetto italiano.
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