Per l’uomo che non deve chiedere mai.
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Classe 1987, fascista della prima ora, autore dell’inno ufficiale del movimento, Giovinezza, Salvator Gotta conobbe il grande successo nel 1926 con il romanzo “Il piccolo alpino”, frutto della propria esperienza nella prima guerra mondiale, trasferita nella figura del piccolo Giacomino Rasi, unitosi per cause fortuite ai soldati al fronte e da questi adottato come mascotte, coinvolto poi in azioni eroiche nel corso degli eventi bellici.
È questo, “L’altra guerra del piccolo alpino”, il seguito scritto nel 1935, ovvero all’apogeo del lavaggio di cervello della propaganda fascista. Nello scenario del primo dopoguerra, questo libro per fanciulli vede il giovane fanciullo Giacomino Rasi attraversare le ultime convulsioni dell’Italia liberale per abbracciare il movimento fascista, tra un pestaggio agli scioperanti socialisti, sempre e rigorosamente sempre rappresentati come ubriachi sadici nichilisti (sic!), e una classica avventura per mare alle prese con i briganti, passando per la presa di Fiume da parte di D’Annunzio fino all’incarico a Mussolini in seguito ai tumulti di Perugia e la marcia su Roma.
Ignaro, suo malgrado, il fascistissimo Gotta lascia scolpito nelle pagine del libro uno spaccato senza filtri tristemente interessante della cultura fascista, vista da un’angolazione più antropologico-sociale che politica. È questo il percorso di formazione che trasformerà Giacomino Rasi in una perfetta camicia nera, impulsivo, ardito, interventista, intrepido, audace, completamente estraneo ad ogni speculazione riflessiva che porti a porsi delle domande su quel che sta accadendo. In pratica un povero idiota.
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La terza faccia della medaglia!
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