ZANARDI

Categorie: Andrea Pazienza
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Pubblicato il: Settembre 21, 2010
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“Perché il freddo, quello vero, sa essere qui, in fondo al mio cuore di sbarbo…” 
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Esiste la distruttività di chi impugna un martello e spacca le piastrelle della cucina della casa appena comprata, sognando ad occhi aperti come sarà più bella alla fine dei lavori. Questi erano, nel bene e nel male, gli anni settanta. Ed esiste la distruttività di chi quelle piastrelle le frantuma nella furia di un amore finito, o nella frustrazione delle proprie aspirazioni, o per noia, un creare macerie che non saranno seppellite, non serviranno a concimare, ma saranno lasciate a putrefare sotto il sole all’aria aperta di giardini trascurati. Questi erano gli anni ottanta. Anni crudeli, anni di massacri in medio oriente e in america centrale, un benessere occidentale consumato a credito di altri popoli e delle future generazioni, una società cieca ed egoista, solo in superficie profumata da giganteschi Arbre Magique come le acconciature ridicole alla Lorella Cuccarini, qualche paio di tette di plastica a Drive In, quattro suca pecunia canterini al Festivalbar e mezza dozzina di cummenda che si arricchivano speculando in borsa.
E Zanardi è pienamente figlio della distruttività di quegli anni, un gioco di rottura di regole e convenzioni non più finalizzato alla creazione di nuovi universi, una distruzione figlia di una società che non sapeva andare oltre al proprio particulare, cugina stretta dell’autodistruzione. E pensando a Pazienza che riesce a raccontarci queste cose strappandoci ogni tanto anche qualche sorriso, si capisce tutta l’unicità del valore aggiunto che ogni grande artista riesce a donare alla narrazione dei propri tempi. E quindi alla vita di ciascuno di noi.
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